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Image by Chinnu Indrakumar
L'Albero di coccodrillo
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Il percorso di un'insegnante di inglese di Bucarest, Bebe Boian, nei suoi tentativi di integrazione in Italia, a Bologna, come compagno di Elia, quarantatreenne italiano, paralizzato e costretto a vivere su una sedia a rotelle fin dall'adolescenza, si intreccia con il tema della disabilità, in tutte le sue forme: dalla disabilità fisica, a quella psichica, sociale, psicologica, strutturale. Tra rifiuto e inclusione, discriminazione e inclusione, flusso e riflusso, passando dal punto A al punto B, le possibilità sono infinite e implicano non solo la comprensione o l'accettazione, ma la totale sovrapposizione dei Sé. Vivere la morte, non necessariamente come un fatto irreparabile, ma sperimentarla concettualmente (da palpeggiamento a possibilità, da animato a inanimato, da potenziale a cancellato) è la chiave della trasformazione dei due personaggi. Evoluzione significa mutabilità, e l'uscita dal labirinto non è lineare, è arborescente e simmetrica. La metafora dell'"albero coccodrillo" implica, oltre al confronto con la propria vita in quanto tale, che per evolvere bisogna prima lasciarsi divorare. La disabilità, l'handicap esiste, insomma, in ogni persona e in ogni personaggio, esiste nella finzione, come esiste nella realtà; la sua integrazione nel proprio essere non dipende necessariamente dall'accettazione o dal rifiuto, ma dalla comprensione profonda, dall'inserimento nella sostanza intima, sia in orizzontale che in verticale. Il flusso e riflusso dell'esistenza di Boian, che lo porta, serpeggiando, da Bucarest a Bologna, raggiungendo il lontano e misterioso sud della Calabria e della Sicilia, si intreccia, capricciosamente come l'intrico di rami di un albero, non solo con le vite degli altri, ma penetra in profondità nei regni animale e vegetale. Eppure dove porta la strada? Ha un inizio e una fine? Teniamo gli occhi per terra o osiamo guardare oltre il muro? E se osiamo saltare dall'altra parte, ci guardiamo indietro o no?
 

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