Un romanzo su quale ho „lavorato” per finirlo, per così dire, è stato A Book of Memories/ Libro di memorie di Péter Nádas (Farrar, Strauss e Giroux, 1997. Tradotto da Ivan Sanders con Imre Goldstein – la traduzione italiana appartiene a L. Sgarioto ed è stato pubblicato, nel 2012, da Dalai Editore). É un testo che richiede tempo, pazienza e concentrazione ma, una volta terminato, sai, istintivamente, che verrà il momento di rileggere un'altra volta. Il romanzo è stato pubblicato nel 1986, ha ricevuto molti premi letterari, è ultra sofisticato, l'azione si svolge tra Budapest e Berlino Est, nel periodo immediatamente successivo alla seconda guerra mondiale. Come temi, come dice anche il titolo, l’accento cade sul ricordo, sulla memoria come strumento per trovare l'identità. Per Nadás, proprio l'idea che la memoria collettiva possa essere importante quanto la memoria individuale è ciò che sostiene la struttura del romanzo; per lui, il passato collettivo ha il potere di influenzare non solo il modo in cui una società si sviluppa e costruisce la sua identità, ma anche il modo in cui la prospettiva dell'individuo, come entità singolare, contribuisce, attraverso la sua esperienza personale, a la ricostruzione, a partire da frammenti, di un'immagine completa del passato.
Libro di memorie è dunque un romanzo che può essere letto come una riflessione sull'impatto che i grandi avvenimenti storici possono avere sulla vita delle persone, su come il passato può influenzare il presente e, implicitamente, il futuro. Per quanto riguarda invece il concetto di identità – che, come dicevo, Nadás esplora, presentandolo come fluido e mutevole nel tempo, in un mondo in continuo mutamento e sempre in uno stato transitorio – si sottolinea che, nel corso della narrazione, i personaggi trovano e perdono la propria identità in base agli eventi che li influenzano e li plasmano, con la memoria che gioca un ruolo cruciale in questo processo. Ciò si riflette al meglio nel modo in cui sono costruiti i personaggi, che non solo sono composti dai più fini accordi intimi, ma sono, molto spesso, sottoposti ad analisi psicologiche profonde e introspettive. Penso che si possa vedere nella loro costruzione, senza troppi problemi, una costruzione cumulativa, con influenze di diverse tradizioni letterarie, che vanno dal modernismo europeo alla letteratura postmoderna americana.
Ad esempio, Thomas Thoenissen, il protagonista, un giovane scrittore tedesco che si reca in Ungheria per scrivere il suo libro, è evidentemente un alter ego dell'autore, che peraltro narra anche gran parte della storia del romanzo. Giovane, apparentemente inesperto, ha una struttura introspettiva e filosofica, spesso riferendosi a questioni legate all'identità culturale, alla storia, alla memoria, il suo ruolo è quello di trovare un significato più profondo in queste questioni. Un filo che andrebbe sicuramente approfondito è il potenziale legame tra questo personaggio e l'"ebraicità", tema che sembra essere toccato pochissimo nel romanzo (cosa che, francamente, mi ha sorpreso...), ma che è presente in una maniera velata e, nonostante questo fatto, è certamente significativo. Sebbene Thomas non sia lui stesso ebreo, ma abbia invece un rapporto problematico (letteralmente!) da gestire con suo padre, un prete cattolico tedesco, vediamo come il tema ebraico sia effettivamente presente in tutto il romanzo, sussidiariamente, soprattutto attraverso influenze culturali e storiche; leggendo, lo si sente costantemente (almeno nel mio caso). Nella sua commedia tra Thea e Maja coglie molto spesso questo interesse come, ad esempio, quando descrive quest'ultima, facendone piuttosto l'incarnazione dell'ideale artistico che Thomas non smette mai di ricercare, in un rapporto estremamente ambiguo e complesso: „il naso di lei, magro e un po' adunco, poteva essere un po' grosso, sì, aveva il naso di suo padre, mi disse una volta, il tratto più ebreo del suo viso, altrimenti poteva anche passare per una tedesca, aggiunse con una risata ; non aveva mai conosciuto suo padre, era troppo giovane per ricordarselo - proprio come Krisztián non aveva ricordi di suo padre - fu „deportato”; la parola mi fece un'impressione profonda quanto quell'altra frase sul padre di Krisztián, che „cadde in battaglia”; e mi piaceva passarle le dita sul naso, perché allora mi sembrava di toccare qualcosa di ebreo; in ogni caso, il colore della sua pelle compensava questo minuscolo difetto, se si può chiamare difetto l'irregolarità che è una parte così organica della bellezza; la sua carnagione completava la sua bellezza, la rendeva integra, anche se non giusta, come ci si potrebbe aspettare da una persona con i capelli biondi e gli occhi azzurri ma con il colore di un panino croccante e ben cotto, ed era questo colore, pieno di tenerezza, che ha creato l'armonia della perfezione dai suoi lineamenti nettamente contrastanti.”. (Péter Nádas, A Book of Memories. Farrar, Strauss and Giroux, 1997, la traduzione del frammento mi appartiene, p. 368).
Questa tensione diventa ancora più visibile nel rapporto con Thea, all'interno del triangolo amoroso che finirà per formare con Melchior. Misteriosa, vera femme fatale, Thea ha il ruolo di portare il lettore nelle profondità delle relazioni interpersonali per rivelare, strato dopo strato, tutta la complessità delle emozioni umane. Melchior, invece, credo, almeno dal mio punto di vista, si dimostri il personaggio più misterioso dell'intero romanzo. Sicuramente una figura paterna per Thomas, la loro relazione è estremamente irta di conflitti e risentimento. Il tandem mi ha fatto pensare in particolare a La montagna incantata di Thomas Mann dove, come nel romanzo di Nádas, la natura umana (in generale) e i rapporti tra le persone (in particolare) vengono intensamente esplorati. Penso che la somiglianza tra Thomas e Hans Castorp sia ovvia, sebbene ci siano anche certe differenze di contesto; ma entrambi esplorano, definitivamente, il senso della vita e intraprendono un „viaggio” finalizzato alla ricerca di se stessi. Tuttavia, vedo Thomas come un personaggio molto più complesso di Hans Castorp, essendo quest'ultimo un giovane ingenuo e idealista, mentre il personaggio di Nádas ha varcato da tempo questi confini. Sarebbe interessante tracciare un parallelo tra Melchior e la coppia Nafta-Settembrini, Melchior essendo una sorta di melange tra i due (Anche Nafta è misterioso, ha una prospettiva incline al nichilismo, è affascinato dal concetto della morte; Settembrini, dall'altra parte è un umanista, un ottimista che crede nel progresso e in un mondo migliore). Ebbene, Melchior è una sorta di equilibrio che pende a volte da una parte, a volte dall'altra: „E così, quando ho interrotto la fredda confessione di Melchior su come lui si considerava un mentitore, attento a non offenderlo, ho cercato di condividere con lui alcune di queste osservazioni, dicendogli che non trovavo nulla di falso nel modo in cui aveva arredato il suo appartamento ma, al contrario, vedeva in esso una singolare fusione di praticità borghese, appagamento proletario per il minimo necessario e distacco aristocratico, in cui tutti i segni e gli elementi del passato erano presenti, sebbene spostati dai loro luoghi originari, un peculiare, deformato sistema di tracce animate e inanimate del passato e del presente che si mescolano tra loro che si possono trovare in tutta la città; ascoltò, guardandomi di traverso, e anche se sentivo che stavo sconfinando in una zona dove non poteva e non voleva nemmeno seguirmi, andai avanti, facendo notare che per me l'effetto complessivo dell'appartamento non era né intimo né attraente ma molto veritiero e, soprattutto, molto tedesco, e senza sapere come stavano le cose dall'altra parte, sarei disposto a intuire che tutto ciò fosse di carattere unicamente locale, e quindi non era tanto mio cervello come il mio naso e i miei occhi che si opponevano alle sue riflessioni sulla sua stessa gente e alle sue affermazioni, che, per me, sapevano di odio per se stessi.” (op. cit., p. 477).
Un altro personaggio assolutamente magistralmente costruito è Krisztián - per mezzo del quale penetra direttamente, senza deviazioni, nella letteratura postmoderna - e inizialmente l'ho visto molto vicino a Oskar Matzerath, il „bambino telepatico” di Günter Grass, del romanzo Il tamburo di latta, ma man mano che la lettura è andata avanti, ho cambiato idea. Sicuramente molto più vicino all'Holden Caulfield di Salinger, soprattutto quando si capisce che il ruolo principale di Krisztián è quello di vivere la sua vita da acuto e meticoloso osservatore della realtà che lo circonda.
Come si vede, il romanzo di Nádas si presta benissimo – proprio per la sua straordinaria complessità – a una serie pressoché inesauribile di parallelismi nei quali (almeno al momento) non sento il bisogno di addentrarmi e approfondire. Però, visto che li ho scoperti (alcuni sono certa che non sono neanche delle idee nuove) mi limiterò solo a elencargli: il primo - e il più importante sarebbe Proust (poi ho cominciato a controllare e ho trovato parecchie studi e articoli che trattano proprio questo parallelismo, come, ad esempio, un articolo firmato da Eva Hoffman, già nel 1997, e pubblicato con il titolo L'anima di Proust sotto il socialismo). Qui, le connessioni che possono essere fatte sono particolarmente focalizzate sulle tematiche (memoria, identità e come si relazionano alla condizione umana). Altrettanto è ovvio che può nascere un paragone con Cent’anni di solitudine di G.G. Márquez (anche dal punto di vista tematico, aggiungendo, alla „memoria”, il fatto che si tratta, in realtà, di „memoria familiare” a cui si aggiungono sottotemi come l’amore/ la disillusione/ la morte; inoltre, sarebbero da analizzare in dettaglio qui anche gli argomenti di natura tecnica - il flash-back e quella dell’ellissi temporale e così via). Seguendo questa linea, è impossibile non collegare Nádas con Joyce (anche al livello di complessità, che - per me, perché sono un po più lenta col cervello, aspetto riflesso nel ritmo di lumaca della lettura stessa) - ai temi aggiungerei anche quello della sessualità (sebbene, nonostante i presupposti, Melchior sia solo un'allusione all'area gay, non è una certezza nel romanzo). L'Urlo e il Furore di William Faulkner funzionerebbe anche qui, senza problemi: la struttura narrativa frammentata, la mancanza di linearità, il mosaico che prevede la fusione a puzzle di vari ricordi ed esperienze ci salta subito all'occhio; al capitolo dei temi, penso che si potrebbe andare anche oltre, aggiungendo la soggettività della realtà e la molteplicità di sfaccettature che la verità può sommare (da un punto di vista concettuale, ovviamente). E questo non sarebbe tutto, ho fatto solo alcuni esempi; si potrebbe anche andare verso un paragone con il Lamento di Portnoy di Philip Roth (se comunque mi sono avvicinata, all'inizio, al filone di „ebraicità” nel romanzo di Nádas), riprendendo e sviluppando quanto da lui osservato e nel tentativo di paragonarecon Joyce, la sessualità (come identità sessuale) e la complessità delle relazioni interpersonali. Come nel caso di Krisztián, anche Portnoy è un tipo di narratore estremamente instabile che si porta dietro un bagaglio di memorie frammentate e caotiche. Inoltre, l'impatto della famiglia + società sull'individuo è un altro aspetto che potrebbe essere seguito.
E se sono arrivata fin qui, oserei anche spingermi un po' più in là (ma molto di più...) e collegare il Maus di Art Spiegelman a Libro di memorie - soprattutto perché una graphic novel non dovrebbe andare bene insieme un „romanzo scritto” (o come dovrei chiamarlo?) di 800 pagine. Devo confessare che generalmente sto lontano dai graphic novel, non sono (non ero) un grande fan dei fumetti e di altre cose di quella categoria, ma dato che Maus è un capolavoro conosciuto e amato, io direi che ne vale la pena il rischio. Il collegamento è facile: si tratta del tema del trauma, a quale aggiungiamo il tema della memoria (sì, ancora...), ma questa volta collettiva (di un popolo; e oltre alle due precedentemente specificate, memoria personale, rispettivamente memoria di famiglia). È vero che i personaggi di Spiegelman sono animali (antropomorfi) e che il tema è quello dell'Olocausto (i ricordi sono di suo padre) ma, anche con Nádas, la posta in gioco è, in fondo, „l'antropomorfizzazione”, nel senso di „attribuire certe qualità e doti umane” a personaggi che diventano così reali proprio per la loro tendenza a rapportarsi a questo aspetto, nonché per la loro „introduzione” nella storia (dall'Ungheria degli anni Cinquanta alla Berlino degli anni Ottanta).
Certamente il romanzo di Péter Nádas, Libro di memorie, ci invita (o, più appropriatamente, ci costringe) a riconsiderare il passato e a confrontarci con esso, non necessariamente in modo costruttivo. Tuttavia, la storia (personale, familiare o collettiva) è importante indipendentemente da come ci relazioniamo: ciò che conta, infatti, è creare una relazione e non necessariamente la sua natura. Forse si tratta più di un'identità culturale? Molto possibile. Ma penso che questa sia già un'altra discussione.
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